L’influenza aviaria (bird flu in inglese) è una malattia infettiva e contagiosa sostenuta da un virus RNA che appartiene alla famiglia delle Orthomyxoviridae, genere Orthomyxovirus. La sigla H5N1 con cui viene indicato si riferisce al corredo antigenico di superficie.

Dallo strato lipidico esterno (envelope) sporgono delle proteine di superficie che sono fondamentali per l’interazione del virus con i tessuti dell’ospite e per l’immunità. Queste proteine si chiamano emoagglutinina (indicata con la lettera H) e neuraminidasi (indicata con la lettera N). Quindi H5N1 significa che il virus dell’influenza aviaria è caratterizzato dalla proteina di superficie emoagglutinina numero 5 (H5) e dalla proteina neuraminidasi numero 1 (N1).

Le due proteine differiscono antigenicamente ed esistono in 16 varianti per l’emoagglutinina (H) e 9 varianti per la neuraminidasi (N). La combinazione delle varianti permette l’esistenza di un grandissimo numero di “sottotipi” tra i quali abbiamo l’H5N1, cioè l’influenza aviaria.

La distinzione dei sottotipi in due grandi categorie, in base al potenziale patogeno dei virus, è decisamente più interessante. Possiamo quindi riconoscere:

  • Virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (come H5N1) identificati con la sigla HPAI.
  • Virus dell’influenza aviaria a bassa patogenicità indicati con la sigla LPAI.

La specie bovina è sempre stata considerata resistente all’infezione da H5N1; tuttavia, negli ultimi mesi continuano ad essere ripetutamente segnalati nuovi casi clinici di influenza aviaria in bovine da latte allevate negli Stati Uniti. Alla fine dell’articolo è presente il link che riporta alla mappa aggiornata delle infezioni da H5N1 registrate nelle bovine da latte sul territorio statunitense.

Nel febbraio 2024, sono stati segnalati i primi casi clinici di una patologia simil influenzale verificatasi nelle vacche da latte nel nord del Texas. Nelle bovine colpite si poteva osservare una malattia aspecifica caratterizzata da una riduzione dell’assunzione di alimento e da un calo improvviso della produzione di latte. Il secreto mammario della maggior parte delle vacche colpite presentava un aspetto denso, quasi cremoso e giallo, molto simile al colostro.

Nelle aziende zootecniche colpite, la malattia progrediva raggiungendo il picco dopo 4-6 giorni dall’esordio della sintomatologia clinica e poi diminuiva entro 10-14 giorni; successivamente, la maggior parte degli animali tornava lentamente alla normale produzione.

La sintomatologia era piuttosto diffusa tra i soggetti dell’allevamento, ma si osservava un tasso di mortalità molto contenuto. Le prime analisi di sangue, urine, feci, campioni di latte e tamponi nasali, nonché i tessuti post-mortem inviati ai laboratori diagnostici regionali, non hanno permesso di identificare una causa specifica.

Le colture del latte erano spesso negative e i test della chimica sierica mostravano valori leggermente aumentati di aspartato aminotransferasi, gamma-glutamil transferasi, creatinina-chinasi e bilirubina, mentre l’esame emocromocitometrico mostrava anemia e leucocitopenia.

Nei primi giorni di marzo 2024, casi clinici simili a quelli descritti in precedenza sono stati riportati in allevamenti da latte della parte sud-ovest del Kansas e nord-est del New Mexico. Contemporaneamente sono state segnalate delle morti di uccelli selvatici e gatti domestici.

In alcune aziende in Texas, si sono verificate le morti di gatti domestici alimentati con colostro e latte crudo proveniente da vacche malate. I segni clinici osservati nei gatti colpiti erano:

  • Depressione del sensorio.
  • Rigidità del corpo e/o movimenti in circolo.
  • Atassia.
  • Cecità.
  • Secrezione oculo-nasale abbondante.

L’esame neurologico dei gatti malati ha permesso di mettere in evidenza l’assenza del riflesso alla minaccia e delle risposte pupillari alla luce, pur mantenendosi una debole risposta di ammiccamento.

Il 21 marzo 2024 alcuni campioni di latte, di siero e tessuti, freschi e fissati in formalina, provenienti da alcune bovine e da 2 gatti del Texas sono stati ricevuti dal Laboratorio Diagnostico Veterinario dell’Università Statale dell’Iowa. Il giorno successivo, sono stati ricevuti dei campioni simili da bovini del Kansas.

I campioni di latte e tessuti dei bovini e i campioni di tessuto dei gatti sono risultati tutti positivi al virus dell’influenza A tramite PCR di screening. La positività ai test è stata confermata e il virus tipizzato come H5N1 ad alta patogenicità dal Laboratorio Nazionale dei Servizi Veterinari del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.

La rilevazione ha portato ad un comunicato stampa del Servizio di Ispezione della Salute Animale e Vegetale del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti che, il 25 marzo 2024, ha confermato l’avvenuto salto di specie del virus H5N1 nei bovini da latte.

Ricordiamo che la specie bovina è sempre risultata resistente all’infezione da H5N1 ma i casi clinici in atto negli Stati Uniti confermano una serie di cambiamenti preoccupanti del comportamento del virus:

  • Possibilità di trasmissione del virus H5N1 da altre specie (avicoli) al bovino e tra bovina e bovina.
  • Sintomatologia clinica evidente, sebbene aspecifica.
  • Escrezione virale intensa anche attraverso il latte e colostro.

La suscettibilità dei gatti domestici all’H5N1 ad alta patogenicità è invece ben documentata a livello globale. La maggior parte dei casi clinici nei gatti deriva dal consumo di uccelli selvatici infetti o prodotti avicoli contaminati. La particolarità in questo caso risiede nella modalità di infezione e nel tasso di letalità. In questo caso, i gatti colpiti erano stati alimentati con colostro e latte crudo provenienti dalle vacche malate ed esprimevano un tasso di letalità di almeno il 50%.

A destare un’ulteriore preoccupazione sono stati alcuni casi confermati di malattia clinicamente manifesta in operatori delle aziende zootecniche da latte (dairy workers). Nell’essere umano, l’infezione da virus H5N1 si manifesta con una serie di sintomi che danno vita ad una condizione clinica estremamente eterogenea.

Non tutti i sintomi vengono espressi e, soprattutto, la malattia può esprimersi in una forma di media o elevata gravità. Qui di seguito l’elenco dei segni clinici osservati nei casi di infezione da H5N1 nell’essere umano:

  • Congiuntivite (talvolta emorragica).
  • Sindrome simil-influenzale di media gravità con interessamento delle vie aeree superiori.
  • Polmonite di media/elevata gravità (che può richiedere l’ospedalizzazione).
  • Temperatura febbrile o sensazione di essere febbricitante (in assenza di febbre).
  • Tosse.
  • Mal di gola.
  • Rinorrea (naso che cola) o congestione nasale (naso chiuso).
  • Dolori muscolari.
  • Mal di testa.
  • Sensazione di affaticamento o spossatezza.
  • Respiro corto o difficoltà respiratoria.

L’esperienza drammatica che stanno vivendo negli Stati Uniti d’America può tornarci utile per individuare gli elementi più importanti che caratterizzano l’infezione da H5N1 nella specie bovina.

Occorre premettere che, sebbene l’influenza aviaria sia una realtà epidemica mondiale da diversi anni, lo spillover nella specie bovina si è verificato ed è attualmente localizzato solo nel territorio statunitense.

Tuttavia, come Medici Veterinari e allevatori è estremamente necessario mantenere l’attenzione elevata e saper riconoscere come potrebbe manifestarsi la malattia.

Per i lettori che volessero approfondire l’argomento si rimanda ai seguenti link:

Centro di referenza nazionale/Laboratorio di referenza europeo (EURL) per l’influenza aviaria e la Malattia di Newcastle.
APHIS USDA
Mappa USDA focolai nella specie bovina