Il concetto di benessere animale non è sempre immediato da esprimere perché è difficile darne un’unica definizione e, talvolta, può assumere significati diversi in contesti diversi. Per noi di Compassion in World Farming (CIWF), benessere animale significa assicurarsi che ogni animale abbia a disposizione quello che vuole e quello di cui ha bisogno. Per garantire un buon livello di benessere, è importante considerare tre aspetti fondamentali, distinti ma sovrapposti tra loro: benessere fisico, benessere mentale e capacità di esprimere i comportamenti naturali.
CIWF è la principale organizzazione internazionale senza scopo di lucro a occuparsi esclusivamente del benessere degli animali d’allevamento. Fondata nel 1967 da un allevatore inglese di vacche da latte preoccupato per la progressiva intensificazione dei sistemi di produzione, CIWF è presente in 10 Paesi, tra cui Italia, Cina e negli Stati Uniti, tramite associazioni affiliate, uffici nazionali o rappresentanti locali. Oltre a occuparsi di campagne e attività di comunicazione rivolte al pubblico e a collaborare con istituzioni nazionali e sovranazionali, il Settore Alimentare di CIWF ha come obiettivo quello di collaborare con le aziende alimentari per integrare le pratiche di benessere animale nelle politiche aziendali e migliorare gli standard di allevamento, riconoscendo e premiando l’applicazione di buone pratiche.
Un percorso di progressivo miglioramento
Il tema del benessere degli animali d’allevamento sta acquisendo un’importanza sempre maggiore nella lista di priorità perseguite dalle aziende alimentari. Se fino a qualche anno fa avere una policy sul benessere animale era considerato, nella migliore delle ipotesi, un “qualcosa in più”, oggi un numero sempre maggiore di aziende alimentari di tutti i settori (grande distribuzione, ristorazione e produzione) presta attenzione a questa tematica, percependola talvolta come una necessità strategica, talvolta come un imperativo etico.
Nel lavorare con le aziende alimentari, il nostro obiettivo è mettere il benessere degli animali al centro dell’industria attraverso un percorso di continuo miglioramento, che tenga conto delle diverse esigenze e priorità. In molti casi si parte da collaborazioni mirate allo sviluppo di politiche che contribuiscano a migliorare gli standard generali di allevamento, per arrivare al riconoscimento di Premi specifici per la scelta di produrre, o ad utilizzare prodotti provenienti da sistemi d’allevamento maggiormente rispettosi degli animali.
Non esiste un unico fattore che spinge le aziende alimentari ad affrontare le questioni legate al benessere animale perché dipende dalle realtà produttive e dai contesti di mercato. Esistono, infatti, una miriade di ragioni che portano le aziende su questa strada: può trattarsi di una richiesta proveniente dai clienti e dai consumatori o di un’esigenza legata alla crescente pressione legislativa, può rappresentare un modo per tutelarsi da possibili rischi di immagine o essere parte di strategie aziendali volte a differenziarsi sul mercato o, ancora, provenire da un’esigenza di trasparenza da parte di investitori attuali o futuri.
Proprio quest’ultimo fattore sta acquisendo in questi anni un’importanza sempre maggiore. Un numero crescente di investitori, infatti, inizia a considerare i rischi e le opportunità legati al benessere degli animali d’allevamento e sta chiedendo alle aziende in cui investe (o pensa di investire) di assicurare una gestione efficiente della questione.
In questo senso, un segnale importante proviene dai risultati dell’analisi di benchmark per il benessere degli animali d’allevamento (BBFAW – Business Benchmark on Farm Animal Welfare www.bbfaw.com), che fornisce un rapporto annuale su come le aziende alimentari leader a livello mondiale stiano gestendo e comunicando le proprie pratiche in tema di benessere animale. BBFAW, redatto con il supporto di Coller Capital, valuta le aziende alimentari sulla base delle informazioni che queste rendono pubbliche e le inserisce in una classifica che va da un livello 1 (nel quale appaiono le aziende con i risultati migliori) a un livello 6 (dove si trovano le aziende che non inseriscono il benessere animale nella loro agenda). In questi anni, non solo il 45% delle 65 aziende valutate nel primo report del 2012 è salito di almeno un livello, ma l’84% delle aziende valutate nel 2014 riconosce il benessere animale come un fattore d’impresa e il 64% di loro ha pubblicato una policy sul tema. Purtroppo, questioni fondamentali per il benessere (come la stabulazione in gabbia e i lunghi trasporti di animali vivi) sono ancora comunicate molto poco dalle aziende, ma dall’inizio del benchmark è già possibile osservare diversi segnali di cambiamento.
Negli Stati Uniti, ad esempio…
Alcune delle aziende che ottengono i risultati migliori nella valutazione del benchmark hanno la loro sede centrale negli Stati Uniti, a dimostrazione del fatto che il cambiamento sta arrivando anche dall’altra parte dell’oceano. Un caso per tutti è quello di McDonald’s che, dopo aver annunciato nel 2012 di volere eliminare le gabbie di gestazione per le scrofe delle sue filiere, ha deciso a inizio settembre che smetterà di utilizzare uova provenienti da galline allevate in gabbia nell’arco dei prossimi 10 anni. Si tratta di una scelta importante, di cui potranno beneficiare oltre 7 milioni di galline tra Canada e Stati Uniti, ma che soprattutto è indice del cambio di paradigma che sta interessando anche il mondo dei consumatori.
Un aspetto da non sottovalutare della decisione di McDonald’s è la ricaduta che avrà sul resto del mercato. L’effetto a cascata ha già avuto inizio e molte altre aziende di primo piano stanno annunciando la scelta di smettere di impiegare uova provenienti da galline allevate in gabbia, non solo per quanto riguarda le uova in guscio, ma anche per gli ovoprodotti usati come ingrediente. Per fare alcuni nomi, si tratta di realtà come Compass, Sodexo, Aramark e General Mills.
Il caso dei conigli
Per capire l’andamento del sistema, un caso interessante, e che a oggi è ancora in piena evoluzione, è quello dei conigli, animale allevato nella grande maggioranza dei casi in sistemi in gabbia estremamente intensivi e che ci riguarda in modo particolare perché l’Italia rappresenta il secondo produttore mondiale dopo la Cina. Nonostante i conigli siano la seconda specie maggiormente allevata in Europa, manca ancora una legge comunitaria specifica che ne tuteli il benessere in allevamento. Tuttavia, la crescente pressione da parte dell’opinione pubblica, non solo europea, ha fatto sì che, a partire dai primi anni 2000, siano stati compiuti grandi passi avanti, al punto che ormai anche la Cina presenta sistemi di allevamento senza gabbia, maggiormente rispettosi del benessere dei conigli.
A seguito di questo percorso, diversi paesi europei, come Austria, Germania, Svizzera e Paesi Bassi, prevedono come standard minimo l’allevamento in gruppo in gabbie arricchite, mentre altri, come il Belgio, ne proibiscono strettamente l’allevamento in qualsiasi tipo di gabbia. Un caso esemplare arriva dalla Germania, dove nel 2009 Kaufland, uno dei principali supermercati del Paese, ha deciso di prendere l’iniziativa e migliorare gli standard di allevamento dei conigli, prima che venisse sviluppata qualsiasi tipo di legislazione nazionale specifica. Grazie alla stretta collaborazione con i propri fornitori, la carne di coniglio venduta oggi da Kaufland proviene da animali allevati in gruppo, all’interno di recinti senza copertura superiore, con pavimentazioni confortevoli non in rete metallica e fornitura di arricchimenti ambientali (come tubi in cui nascondersi e materiali da rosicchiare).
In particolare, dalla collaborazione tra Kaufland e il suo fornitore BreFood, nasce una delle filiere più avanzate in termini di standard di allevamento. Gli allevamenti da cui si fornisce BreFood, situati in Cina, oltre a rispettare i criteri voluti dalla catena di supermercati, hanno sviluppato dei sistemi che permettono anche alle fattrici di essere allevate in gruppo. Bisogna insomma rassegnarsi all’evidenza che da un Paese da sempre considerato come tra i più arretrati in termini di standard di allevamento, provenga uno degli esempi migliori, mentre in Italia, oltre a mancare una legislazione specifica in materia, persino il coniglio certificato biologico può ancora provenire da allevamenti in gabbia.
E nel resto d’Europa?
Oltre al caso dei conigli, segnali di cambiamento arrivano anche da altri Paesi dell’Unione Europea. Mettendo da parte i Paesi del nord Europa, da sempre maggiormente sensibili e progrediti in tema di benessere animale, basta osservare quello che succede in Francia che, insieme all’Italia, è considerato come uno dei Paesi meno sensibili al tema in termini di interesse dei consumatori.
Eppure, dal solo inizio del 2015, i nostri vicini d’oltralpe stanno iniziando a mostrare molti segnali di attività. Il marchio di prodotti da forno St Michel, ad esempio, ha deciso che utilizzerà solo uova provenienti da galline allevate all’aperto e ha accompagnato questa sua scelta con un’estesissima campagna di comunicazione: conferenze stampa, campagne mediatiche con l’hashtag #welovepoules, iniziative nei supermercati con oltre 1000 comunicazioni a scaffale inserite in 150 punti vendita.
La cooperativa di produttori Terrena, per citare un altro esempio, continua il suo percorso verso il continuo e costante miglioramento degli standard di allevamento delle loro filiere. In questi anni, partendo da una linea di polli Label Rouge, Terrena ha proseguito interessandosi prima al benessere dei conigli e poi a quello dei suini: da quest’anno ha deciso di allevare i conigli esclusivamente in sistemi alternativi alle gabbie e sta ultimando lo sviluppo di un’app per smartphone e tablet che permetta agli allevatori di suini di valutare il benessere dei loro animali direttamente in allevamento, attraverso il monitoraggio di alcuni indicatori basati sugli animali e sulle infrastrutture.
Benessere animale e produttività
Al di là di specifiche politiche aziendali, in molti casi sono gli stessi produttori a rendersi conto dei vantaggi che può trarne l’allevamento in termini di produttività, se si rispetta il benessere degli animali. Un esempio è l’allattamento libero delle scrofe, i cui suinetti a fine allattamento presentano un peso superiore rispetto a quelli provenienti da scrofe costrette in gabbia (con percentuali di mortalità paragonabili nei due sistemi). Un aspetto che appare evidente anche nel caso dei vitelli.
I vitelli, infatti, sono animali molto sociali che preferiscono essere allevati in gruppo piuttosto che in box singoli. Tenendo conto delle problematiche igienico sanitarie, allevare i vitelli in coppie fin dalla nascita, invece che stabularli singolarmente, permette loro di iniziare a sviluppare abilità sociali fin dai primi giorni di vita, riducendo allo stesso tempo i livelli di stress. Il risultato è che, una volta messi in gruppo dopo lo svezzamento, vitelli che erano stati allevati in coppie si nutrono in tempi minori di sostanza secca e mostrano un incremento ponderale maggiore rispetto a quelli allevati in box singoli.
Migliorare il benessere, quindi, non serve solo agli animali: può dare benefici importanti ai produttori, interessa a un numero sempre crescente di aziende e di investitori e, soprattutto, sta diventando sempre più centrale nelle scelte dei consumatori finali.
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