Il profondo impatto dello stress da calore sulla produzione e sulla riproduzione della bovina da latte è stato ben compreso e i risultati delle ricerche scientifiche sono largamente utilizzati da chi offre servizi e prodotti al settore zootecnico. Un recentissimo articolo di V. Ouellet et al., pubblicato quest’anno su Theriogenology, ha indagato lo stato dell’arte in merito al rapporto tra stress da caldo e gravidanza avanzata, sottolineando l’effetto deleterio dell’esposizione al calore non solo sulla bovina in asciutta ma anche sul feto in utero. In questo modo la ricerca scientifica sta offrendo preziosi elementi per gestire lo stress da calore su settori dell’allevamento percepiti in passato come “non produttivi” ma che invece rappresentano le parti integranti di un sistema aziendale efficiente.

Effetti dello stress da calore sulla bovina in asciutta

L’esposizione cronica della bovina in gravidanza avanzata a temperature ambientali elevate comporta una riduzione significativa della produzione nella lattazione seguente. La perdita è quantificabile mediamente con un 10% corrispondente a circa 3,6 kg/die. Questa è la conseguenza di una serie di modificazioni adattative che avvengono a livello di mammella, metabolismo e sistema immunitario.

Le bovine che sperimentano uno stress da caldo significativo nel periodo di asciutta hanno una lunghezza della gestazione ridotta, in media, di 3,7 giorni rispetto alle bovine raffrescate. Sebbene sia stato ampiamente dimostrato che una gravidanza più corta ha un impatto negativo sulla produzione di latte nella prima fase di lattazione, questa considerazione, da sola, non sarebbe sufficiente a spiegare il calo del 10% della quantità di latte prodotta nell’intera lattazione seguente. In realtà, l’effetto del calore sulla ghiandola mammaria in asciutta è ben più incisivo e va ad alterare una serie di aspetti che, sommati, determinano il calo produttivo evidenziato in precedenza:

  • La prima fase dell’asciutta è dominata da processi di apoptosi (morte cellulare programmata) e di autofagia. Questi processi hanno lo scopo di eliminare le cellule inattive durante la fase di involuzione della mammella e sono determinanti per uno sviluppo regolare della ghiandola mammaria. Lo stress da calore induce una modificazione significativa della produzione di numerosi ormoni e proteine ad attività biologica. In particolare, la prolattina risulta essere aumentata in seguito allo stress da calore. Questo ormone, sia in maniera diretta sia attraverso l’induzione della sintesi delle HSP (heat shock proteins), inibisce il processo di apoptosi. L’estrone solfato, un ormone coinvolto nel determinismo del parto è anche un potente promotore dei processi cellulari di autofagia e di proliferazione cellulare. La concentrazione ematica di estrone solfato risulta pesantemente ridotta nelle bovine in asciutta esposte a stress da caldo, determinando una riduzione significativa dei processi di autofagia cellulare nella prima fase (involutiva) e della moltiplicazione cellulare nella seconda fase (proliferativa).
  • La seconda fase di asciutta è caratterizzata da un’intensa proliferazione cellulare della ghiandola mammaria. Gli studi inerenti agli effetti dello stress da caldo in questo periodo sono molto interessanti. Una ricerca di Dado-Senn et al. del 2018 ha messo in evidenza come lo stress da caldo nel preparto condizioni il trascrittoma della ghiandola mammaria. Il trascrittoma è la totalità degli RNA trascritti a partire dal genoma (DNA). Gli autori affermano che il profilo trascrittomico mammario delle bovine esposte a stress da calore è indicativo di un ridotto sviluppo ghiandolare, processi cellulari anomali ed una risposta immunitaria e infiammatoria prolungata.

Le vacche in asciutta esposte a stress da calore, come quelle in lattazione, riducono l’ingestione di alimento con l’obiettivo di minimizzare la produzione di calore derivante dalle fermentazioni ruminali e dalla digestione dei nutrienti. Una dieta con alto contenuto di fibra, come quella offerta in asciutta, prevede un’intensa produzione di acido acetico il cui metabolismo, purtroppo, produce molto calore. L’offerta di fieno di ottima qualità assume un’importanza rilevante per mantenere il rumine efficiente e limitare la produzione endogena di calore.

Le ricerche che mettono in relazione lo stress da calore e l’immunità sono spesso contradditorie o poco significative. Nel 2014 Thompson et al. ha evidenziato un numero significativamente maggiore di neutrofili circolanti nel periodo di lattazione precoce in bovine raffrescate durante il periodo dell’asciutta. L’immunità innata non sembra essere influenzata dallo stress da calore in asciutta, a differenza dell’immunità acquisita che invece subisce un impatto significativo denunciato dalla riduzione dei linfociti T CD4⁺, la ridotta proliferazione delle PBMC (peripheral blood mononuclear cells) e la ridotta produzione di TNFα (tumor-necrosis factor-α). Sempre Thompson et al. in un lavoro del 2011 aveva evidenziato che le vacche asciugate nei mesi caldi avevano una maggiore incidenza di mastite, problemi respiratori e ritenzione di placenta dopo il parto, rispetto alle bovine asciugate nei mesi più freddi. Questa evidenza può dipendere anche dall’effetto del fotoperiodo e per fare chiarezza, ancora Thompson et al. nel 2014 ha condotto un’ulteriore ricerca per indagare l’effetto del raffrescamento in asciutta evidenziando la stessa incidenza di mastite nei 60 giorni post-partum tra le vacche raffrescate e quelle non raffrescate ma un’incidenza di metriti decisamente inferiore nel gruppo delle bovine raffrescate.

Effetti dello stress da calore sul feto in utero

Numerose ricerche confermano che il vitello nato da madri esposte a stress da calore nasce più piccolo (- 4,6 kg in media) ed ha un peso minore nel momento dello svezzamento (- 7,1 kg in media).

Lo sviluppo fetale, perché sia corretto, necessita di un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti attraverso la placenta, in particolare a livello di placentoma. La bovina esposta allo stress da calore si alimenta di meno e presenta un flusso ematico placentare ridotto. Quest’ultimo aspetto è dovuto al fenomeno di vasodilatazione periferica con spostamento del volume ematico dagli organi interni alla cute in modo da favorire la termodispersione. La conseguenza diretta di questo evento è lo scambio ridotto di nutrienti a livello placentare a causa del minor flusso ematico e quindi uno sviluppo fetale compromesso. A questa considerazione si aggiunge l’evidenza che le bovine esposte a ipertermia anticipano il parto in media di 3,7 giorni.

L’esposizione delle bovine in asciutta allo stress da calore influenza negativamente le funzioni immunitarie dei vitelli neonati. Il vitello nasce totalmente privo di immunoglobuline e il trasferimento d’immunità colostrale avviene attraverso l’assunzione di una quantità elevata di colostro di buona qualità nelle prime ore dal parto. Nei vitelli nati da bovine non raffrescate durante l’asciutta, la quota di immunoglobuline trasferita per mezzo del colostro sembra essere inferiore, e non per la qualità del colostro bensì per una presunta incapacità dell’intestino di assorbire gli anticorpi. L’esatto meccanismo non è ancora stato chiarito ma è molto probabile che ciò sia dovuto ad una ridotta capacità di assorbimento cellulare (pinocitosi) per ridotta esposizione dei recettori, una precoce “chiusura dell’intestino” oppure per l’immaturità degli enterociti a causa dell’anticipazione del parto.

Per concludere, vorrei riportare le conclusioni di una serie di ricerche che hanno indagato gli effetti a lungo termine dell’esposizione delle vitelle in utero allo stress da calore. Queste ricerche dimostrano l’alterazione dell’espressione di una cinquantina di geni che coinvolgono principalmente il fegato e la mammella attraverso un meccanismo di modificazione istonica e di metilazione di tratti di DNA. Queste modificazioni epigenetiche sarebbero in grado, almeno in parte, di spiegare la produttività ridotta delle primipare che nel periodo perinatale sono state esposte allo stress da caldo.

L’obiettivo di quest’articolo è di sensibilizzare chi si interessa di gestione degli allevamenti di bovine da latte sulla necessità di avere una visione più ampia e dedicare la doverosa attenzione anche su quelle parti dell’azienda talvolta trascurate (asciutta, manze ecc.). Un approccio integrato permette di ottenere risultati concreti e ripetibili ed educa l’allevatore all’idea che l’allevamento è un sistema complesso in cui tutte le parti necessitano di una dedizione disciplinata.