La consanguineità è da sempre un argomento sul quale una grande categoria di discipline, dalla medicina alla genetica, hanno concentrato la loro attenzione.
Dal punto di vista degli animali da allevamento tale tematica ha assunto nel tempo un interesse crescente attribuibile alle conseguenze che essa comporta a livello produttivo e riproduttivo.
Secondo la definizione di Falconer (1996) per consanguineità si intende l’accoppiamento fra individui che sono imparentati fra loro grazie ad antenati in comune. In tale situazione il maschio e la femmina, con copie di uno stesso gene derivante dall’antenato comune, che si accoppino, possono passare tali copie alla discendenza, che sarà formata quindi da individui consanguinei. Il coefficiente di consanguineità di un soggetto (F) è la probabilità che due alleli in un locus siano identici per discendenza, ovvero provengano da un antenato comune al padre ed alla madre. Il coefficiente di consanguineità si riferisce sempre al singolo individuo e descrive il grado di parentela (che al contrario di F si riferisce a coppie di individui) fra i suoi genitori pari a 2*F. Il calcolo della consanguineità può essere calcolato a partire da informazioni genealogiche, o in altre parole dai pedigree dei soggetti, o anche da informazioni genomiche.
Esistono casi in cui la consanguineità è stata, ed è utilizzata, intenzionalmente e miratamente, ad esempio per ottenere animali da laboratorio geneticamente omogenei o per produrre, sia nel caso dei vegetali che nel caso di animali, animali altamente omozigoti da accoppiare fra loro per ottenere una progenie ibrida con performances maggiori di quelle dei genitori. In altri casi la consanguineità è generata non intenzionalmente ma è il risultato di una situazione particolare (negli animali, ad esempio, nelle popolazioni a limitato numero di soggetti o nel caso di selezione). Nelle moderne tecniche di allevamento, specie per i bovini da latte, l’attività di selezione è arrivata ad una grandissima efficienza, aiutata dalla possibilità di selezionare pochi animali di altissimo valore genetico con una accuratezza di stima sempre maggiore. Negli animali sottoposti a schemi di selezione buona parte delle razze possono essere considerate, dal punto di vista della genetica di popolazione, come una popolazione di limitata consistenza in quanto esiste un contributo sbilanciato di un limitato numero di riproduttori dovuto alla selezione che, oltre tutto, comporta un alto rischio di scegliere riproduttori imparentati fra loro. Conseguenza naturale di quanto detto è la nascita di animali sempre più consanguinei. Questa situazione si ha anche in popolazioni numericamente ridotte (come quelle dei Registri Anagrafici) dove, anche in assenza di selezione, si ha un aumento di consanguineità derivante appunto dal limitato numero di soggetti in purezza che si incrociano tra loro.
Nell’allevamento di animali puri in selezione o in conservazione la consanguineità ha assunto un ruolo negativo e di impatto a causa del fenomeno che si manifesta nei soggetti consanguinei e che prende il nome di depressione da consanguineità, che comporta conseguenze a livello produttivo e riproduttivo.
La depressione da consanguineità (inbreeding depression in inglese) è definita da Falconer (1996) come la riduzione delle perfomances fenotipiche medie dei soggetti: in altre parole, la consanguineità agisce con effetto negativo sia sulle produzioni dei soggetti, sia sulla loro riproduzione.
Tale fenomeno, ben noto agli allevatori e studiato a livello di ricerca, è dovuto a basi genetiche ma ancora non si ha una definizione certa di esse; esistono tuttavia tre teorie che cercano di spiegare il fenomeno. Secondo la prima teoria, detta “ipotesi di dominanza parziale”, la consanguineità aumenta l’omozigosi e quindi l’espressione di alleli omozigoti recessivi con effetti fenotipici negativi; la seconda teoria, detta “ipotesi di superdominanza”, suppone che gli eterozigoti siano superiori agli omozigoti, sia dominanti che recessivi, per cui l’aumento di omozigosi causa una diminuzione dell’espressione dei fenotipi derivanti da eterozigoti. Una terza ipotesi suggerisce come causa della depressione da consanguineità anche l’interazione epistatica fra geni: si suppone in tale ipotesi che l’eterozigosi comporti interazioni favorevoli fra geni, e quindi un aumento dell’omozigosi non faccia altro che diminuire tali interazioni e quindi deprimere il loro effetto favorevole a livello fenotipico.
Una volta ricavato il coefficiente F per ogni animale è possibile quantificare l’effetto della depressione da consanguineità. Il metodo classico di calcolo è stimare l’effetto come coefficiente di regressione del fenotipo del carattere sul coefficiente F individuale. Si è visto, tuttavia,che se F viene calcolato utilizzando un pedigree con informazioni incomplete, è possibile che nel calcolo della depressione da consanguineità si verifichi una sottostima; per ovviare a questo alcuni autori hanno proposto, per risolvere questo problema, di usare il grado di consanguineità individuale (ΔF) invece di F, cosa che sembrerebbe ovviare alle sottostime di cui sopra. È anche possibile utilizzare informazioni genomiche attraverso l’uso dei ROH (Runs of Heterozigosity): tali procedimenti nei bovini da latte hanno dato origine a stime di F consistenti con quelle ottenute dalle informazioni genealogiche e sarebbero utilizzabili con buoni risultati dove vi sia mancanza di informazioni genealogiche.
Qualunque sia il meccanismo genetico che provoca la depressione da inbreeding, l’esperienza allevatoriale e diversi studi scientifici hanno dimostrato, come già detto, la relazione negativa esistente fra aumento della consanguineità e diminuzione delle produzioni, con perdite economiche importanti nelle produzioni degli animali zootecnici allevati.
L’effetto della depressione da consanguineità è stato recentemente (Leroy et al, 2014) analizzato tramite una meta analisi dove sono stati raccolti i risultati della depressione da consanguineità di 57 studi effettuati su 7 diverse specie e riguardanti un totale di 37 caratteri e 5 categorie di caratteri, che andavano dai dati di sopravvivenza ai dati di crescita, a quelli morfologici e a quelli di produzione (latte, lana, carne ecc). Attraverso un modello lineare, sono stati quindi ottenuti i valori attesi dei valori di depressione da consanguineità per ogni aumento unitario percentuale di F dei soggetti. Tali risultati sono stati espressi sia standardizzati per la media fenotipica del carattere sia per la sua deviazione standard fenotipica, in modo da esprimere in maniera confrontabile i risultati per diversi caratteri (tabella 1).
In generale si è visto che, considerando tutti i caratteri e tutte le specie, l’effetto medio della depressione da consanguineità è pari a 0,137 % del valore della media fenotipica del carattere per ogni aumento di 1% F individuale; quando poi si è calcolata la media per diversi gruppi di caratteri, si è notato che, in generale, i caratteri produttivi sembrano influenzati maggiormente dalla depressione da consanguineità rispetto agli altri gruppi di caratteri. Per le produzioni di latte, grasso e proteina le stime espresse in funzione della media sono dell’ordine di -0.367,-0.249 e -0.225 % del valore della media fenotipica dei caratteri, mentre per cellule somatiche si è arrivati ad una depressione da consanguineità pari allo 0,414% della media. Citando alcuni caratteri di comune interesse zootecnico, si hanno valori pari a -0.191% per la fertilità, +0,322% per la facilità di parto, -0.021% per la durata della gestazione e -0.489% per la sopravvivenza all’età adulta. Per quanto riguarda i caratteri legati al peso, si hanno valori di -0.195% per il peso alla nascita e -0.299% per l’accrescimento. E’ stato riscontrato inoltre da questo studio che non esiste un effetto significativo della specie e questo, secondo gli autori, sembrerebbe indicare che la depressione da consanguineità dipenda più dalle frequenze alleliche segreganti entro razze o popolazioni che da particolarità fisiologiche proprie della specie.
Per quantificare le perdite in allevamento, di seguito verranno elencati brevemente alcuni risultati, espressi nell’unità di misura del carattere, da studi scientifici effettuati su alcuni caratteri produttivi e riproduttivi nei bovini da latte.
– Produzione di latte, grasso e proteina. Gli studi sull’effetto della consanguineità dei soggetti sulla produzione di latte e sui suoi costituenti sono numerosi e qui ne verranno citati, per brevità, solo alcuni.
Diversi studi americani ed europei hanno portato a quantificare, sulla razza Holstein, una diminuzione variabile da 9 a 29 kg per lattazione per un aumento di un punto percentuale di consanguineità del soggetto. Allo stesso modo sono state quantificate diminuzioni variabili da 0,55 a 1,09 kg di grasso e da 0,67 a 0,96 kg di proteina. Croquet et al (2007) hanno quantificato, su primipare di razza Holstein in Belgio una perdita di kg latte, kg grasso e kg proteina rispettivamente di 22.10, 1,10 e 0,72 kg per aumento di 1% di consanguineità dei soggetti.
Per i caratteri di produzione del latte in genere le stime di perdita di produzione sono espresse linearmente, cioè hanno lo stesso effetto a qualsiasi livello di consanguineità si trovi l’animale. Una serie di studi ha comunque rilevato che in realtà l’effetto depressivo sulla produzione di latte non è lineare, ma varia come intensità in funzione della classe di consanguineità dell’animale. In effetti Miglior et al (1992), utilizzando il coefficiente individuale di consanguineità di una popolazione di Jersey canadesi raggruppato in classi di consanguineità e non come effetto continuo, hanno riscontrato che l’effetto depressivo della consanguineità sulla produzione di latte aumentava nelle vacche con consanguineità sopra il 12,5% rispetto alle vacche sotto questa soglia. Thompson et al (2000) su animali di razza Holstein americana hanno riscontrato come fino al 7% di consanguineità dei soggetti si perdevano intorno ai 35 kg di latte per ogni aumento unitario percentuale di F, mentre in soggetti con F da 7 a 10% tale perdita si alzava fino a 55 kg di latte per ogni aumento percentuale di F.
– Cellule somatiche. L’effetto della consanguineità individuale sulle cellule somatiche ha avuto risultati diversi: a fronte di studi che non hanno trovato effetti significativi sull’ SCS, altri hanno riscontrato effetti più importanti: ad esempio, McParland et al (2007) hanno quantificato un aumento in SCC di 23000 cellule/mL sopra la media per animali in quinta lattazione e con una consanguineità del 12,5% ed hanno inoltre suggerito che la consanguineità possa anche favorire un aumento di mastiti, come riscontrato anche da Sorensen et al (2006) che hanno riscontrato un aumento di mastiti cliniche in animali consanguinei.
– Caratteri riproduttivi. Smith et al (1998) hanno riscontrato, per ogni aumento unitario percentuale di consanguineità, una diminuzione della vita produttiva di 5,96 giorni ed un aumento sia della durata dell’interparto (0,31 giorni) che dell’età al primo parto (0,55 giorni); Biffani et al (2002) nella Frisona Italiana hanno riscontrato un aumento dell’intervallo parto – concepimento di 0,31 giorni per ogni 1% di aumento di F. Mc Parland et al (2007) hanno riscontrato, riferendosi ad una vacca al 12,5% di F, un aumento medio di 8,8 giorni di interparto, di 2,5 giorni di età al primo parto e un 4% in meno di sopravvivenza alla seconda lattazione.
Per quanto riguarda la facilità di parto, McParland et al (2007) hanno riscontrato un aumento di parti distocici fino al 25% di F della vacca, per poi diminuire subito dopo questa soglia, mentre altri autori hanno riportato scarsi effetti sulla distocia, giustificabili anche per il fatto che la facilità di parto viene influenzata dal peso alla nascita del vitello che è minore in vacche consanguinee. Questo spiegherebbe anche i risultati di McParland et al.
Per quanto riguarda il peso alla nascita del vitello, Young et al (1969) hanno riscontrato diminuzioni del peso alla nascita di 0,11 kg per ogni punto percentuale di consanguineità e pesi a 2 anni di età minori per animali consanguinei.
Molto interessante è l’effetto della consanguineità che McParland et al (2007) hanno riscontrato sulla sex ratio di vacche consanguinee. E’ stato notato come vacche con un F fra 5 e 10% avevano, in media, un 1% in più di maschi rispetto alle femmine mentre sopra il 16% la tendenza si invertiva fino ad arrivare ad un valore atteso del 3% in più di femmine nate per vacche al 25% di consanguineità rispetto a vacche non consanguinee. D’altro canto si è visto che esiste un aumento di nascite maschili dello 0,1% per ogni punto percentuale di F del vitello: gli autori hanno ipotizzato che quando due animali imparentati si accoppiano, possano aumentare le probabilità che la progenie sia maschile. Possibili spiegazioni addotte al riguardo sono una alterazione nel momento della determinazione del sesso, cioè alla fertilizzazione, oppure una mortalità preferenziale in utero embrionale o fetale.
– Caratteri morfologici. Sulla conformazione dell’animale sono stati trovati effetti diversi della consanguineità individuale: ad esempio Smith et al (1998) e Croquet et al (2006) hanno riscontrato come gli animali consanguinei fossero più piccoli, leggeri e stretti rispetto ai non consanguinei.
Per quanto riguarda i caratteri morfologici, sia Smith et al (1998) che Biffani et al (2002) che McParland et al (2007) riportano un effetto di aumento dei punteggi morfologici per la maggior parte dei caratteri morfologici legati alla mammella. Sono stati notati anche comportamenti non lineari dell’effetto della depressione da inbreeding, analogamente alla situazione riguardante i dati produttivi.
Come detto la depressione da inbreeding, impattando negativamente sulle produzioni, ha ovviamente un impatto economico. Leroy et al (2014), partendo da un effetto di -0.371% sulla media fenotipica del latte per ogni punto di F, ha stimato che nella Holstein tale dato, ipotizzato un progresso genetico annuale pari a 100 kg di latte, un intervallo di generazione di 5 anni ed un tasso annuale di crescita della consanguineità in razza pari a 0,12% per anno, porterebbe ad una perdita da depressione da consanguineità annuale del 4,4% del progresso genetico, aggiungendo comunque che probabilmente l’impatto sulla produzione potrebbe essere maggiore se si considerano, oltre alla produzione di latte, più caratteri interessati, in quanto è stato visto che il reddito ottenibile dalla produzione è una combinazione moltiplicativa dei singoli caratteri.
Altri risultati, sempre citati nel lavoro di Leroy, riguardano l’incidenza della mastite (riduzione media di €11 nel reddito netto prodotto nella vita produttiva della vacca); considerando più caratteri, le perdite totali di reddito per un valore di consanguineità media di popolazione vanno dai 22,7 euro a valori fra i 65 e 73 dollari inserendo anche fertilità, longevità e salute animale.
Appare chiaro, alla luce degli effetti negativi che la consanguineità individuale produce, che la consanguineità dei soggetti va tenuta in considerazione sia per mantenere le elevate performances produttive e riproduttive negli animali in selezione che per non causare perdite economiche sia in ambito aziendale sia nelle scelte selettive; non va inoltre dimenticato che il monitoraggio della consanguineità è lo strumento principale per salvaguardare il mantenimento della biodiversità in soggetti non in selezione come quelli delle razze afferenti ai Registri Anagrafici.
Appare chiaro, in una situazione zootecnica di avanguardia, che la consanguineità è un aspetto di cui tenere conto. Le Associazioni Nazionali Allevatori e l’Associazione Italiana Allevatori, detentori della tenuta di Libri Genealogici e Registri Anagrafici, hanno gli strumenti (tenuta precisa ed aggiornata dei pedigree da cui calcolare il coefficiente di consanguineità dei soggetti e know how tecnico ed informatico) e li usano per fornire agli allevatori tutta l’assistenza possibile per quanto riguarda il monitoraggio della consanguineità e le informazioni per gestire la consanguineità in azienda. Nel caso di AIA, essa fornisce questo servizio tramite il suo Ufficio Studi sia per alcune razze in selezione con basso numero di soggetti sotto controllo, sia per le razze del Registro Anagrafico Bovini ed Equidi. Il mettere a disposizione i coefficienti di consanguineità della possibile progenie derivante dall’accoppiamento di tutti i riproduttori maschi con tutte le femmine disponibili ed i suggerimenti sull’uso di tali informazioni per contenere la consanguineità nelle razze, hanno permesso di poter usare i maschi per accoppiamenti con le fattrici conoscendo già il desiderato grado di consanguineità della progenie, ed hanno quindi dato un contributo sia alla salvaguardia della biodiversità sia al mantenimento di livelli produttivi e riproduttivi per razze in selezione.
Tabella 1.
Effetto medio della consanguineità su diverse specie e per diversi gruppi di caratteri espresso come scarto dalla media (bm) o dalla deviazione standard (bσ) del carattere. Da Leroy et al, 2014
Bibliografia
- Biffani S., Samorè A. B. e Canavesi F. (2002). Inbreeding depression for production, reproduction and functional traits in Italian Holstein Cattle. Proc. World Congr. Genet. Applied to Livest. Prod., Montpellier, France, 183 – 186
- Croquet C., Mayeres P., Gillon A., Vanderick S. e Gengler N. (2006). Inbreeding depression for global and partial economic indexes, production, type and functional traits. Dairy Sci., 89, 2257 – 2267
- Croquet C., Mayeres P., Gillon A., Hammami H., Soyeurt H., Vanderick S. and Gengler N. (2007). Linear and curvilinear effects of inbreeding on production traits for Walloon Holstein cows. Dairy Sci., 90, 465 – 471
- Falconer D. S. e Mackay T. F. C. (1996). Introduction to quantitative genetics, 4a edizione, Longman, Essex, UK
- Leroy, G. (2014), Inbreeding depression in livestock species: review and meta-analysis. Animal Genetics, 45: 618–628
- Mc Parland S., Kearney J. F., Rath M. e D.P. Berry (2007). Inbreeding effects on milk production, calving performance, fertility and conformation in Irish Holstein – Friesian. Dairy Sci. 90, 4411 – 4419
- Miglior F., Szkonticki B. e Burnside E. B. (1992). Analysis of levels of inbreeding depression on Jersey cattle. Dairy Sci., 75, 1112 -1118
- Smith L. A., Cassel B. G. e Dekkers J. C. M. (1998). The effects of inbreeding on the lifetime performance of dairy cattle. Dairy Sci., 81, 2729 – 2737
- Sorensen, A.C.P., Madsen P., Sorensen M. K. e Berg P. (2006). Udder health shows inbreeding depression in Danish Holsteins. Dairy Sci. 89, 4077 – 4082
- Thompson, J. R., Everett R. W. e Hammerschmidt N.L. (2000). Effects of inbreeding on priduction and survival in Holsteins. Dairy Sci., 83, 1856 – 1864
- Young C. W., Tyler W. J., Freeman A. E., Voelker H. H., Mc Gillard L. D. e Ludwick T.M. (1969). Inbreeding investigations with dairy cattle in the North Central region of the United States. North Central Reg. Res. Publ. 191. Minnesota Agric. Exp. Stn. Tech. 266 Univ. Minnesota, St. Paul.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.