Il ciclo estrale normale delle vacche da latte è stato storicamente descritto come compreso tra i 18 e i 24 giorni, con una fase luteale di 14-18 giorni.
Nei primi anni 2000, alcuni studi sulla fisiologia riproduttiva bovina hanno riscontrato che i cicli estrali erano, in media, più lunghi di 21 giorni.
Sebbene la quasi totalità di queste ricerche abbia avuto il limite di indagare un campione piuttosto ristretto di animali, ha comunque aperto la strada a studi su larga scala, da cui si evince che le vacche da latte moderne possano avere cicli estrali decisamente più lunghi.
Probabilmente molti lettori avranno avuto modo di constatare che, nelle mandrie da latte ad alta produzione, una larga percentuale di animali dimostra l’estro con intervalli decisamente superiori a 21 giorni. Il ritorno in estro dopo una fecondazione artificiale è atteso intorno al 21° giorno post fecondazione artificiale e, qualora si verificasse dopo questo limite, l’evento è tradizionalmente attribuito ad una morte embrionale.
In realtà, appare improbabile che tutti i ritorni in estro ritardati possano essere riconducibili ad una perdita di gravidanza; è più plausibile che siano, almeno in parte, l’espressione di un allungamento della fase luteale (> 14 – 18 giorni).
In uno studio condotto da Ricci e colleghi nel 2017 negli Stati Uniti d’America, furono misurati i livelli di glicoproteina associata alla gravidanza (PAG) delle vacche inseminate a 25 e a 32 giorni dopo l’inseminazione artificiale a tempo fisso.
Tra quelle non gravide, ben il 58% delle vacche che non avevano avuto la regressione del corpo luteo entro i 32 giorni dopo l’inseminazione non avevano livelli rilevabili di PAG. Questo dato è indicativo del fatto che le fasi luteali più lunghe del previsto non erano solo dovute alla perdita di gravidanza ma che questa, contrariamente a quanto si è sempre pensato, incida come causa per poco più del 40%.
In uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Journal of Dairy Science dal titolo particolarmente evocativo: “Is prolonged luteal phase a problem in lactating Holstein cows?” (La fase luteale prolungata è un problema nelle vacche Holstein in lattazione?) sono state indagate le possibili cause, oltre alla perdita di gravidanza, della fase luteale prolungata.
I risultati sono stati sorprendenti, soprattutto per quanto riguarda l’incidenza del fenomeno. In un campione di 889 vacche, sia primipare che pluripare, si è osservato che il 12% dei cicli estrali era breve, il 31% era normale, il 19% era lungo e il 38% era molto lungo.
Nello studio, la durata dei cicli estrali è stata categorizzata come breve (<17 giorni), normale (17-23 giorni), lunga (24-30 giorni) e molto lunga (≥31 giorni). In pratica, in questo studio, i cicli che avevano una durata superiore ad un ciclo considerato normale (17 – 23 giorni), erano più della metà (57%)!
Organizzare uno studio osservazionale sulla durata della fase luteale delle vacche da latte non è affatto semplice poiché richiede di non inseminare le bovine che sono idonee e, in un allevamento commerciale, questo rappresenta una perdita economica importante.
Questi studi, perciò, sono alquanto rari e limitati spesso ad aziende zootecniche sperimentali e non commerciali, con pochi eventi osservati o campioni di piccole dimensioni. Questa ricerca ha avuto il doppio vantaggio di essere stata condotta in un allevamento commerciale con un numero consistente di animali arruolati.
Le principali associazioni con una fase luteale prolungata sono state la stagionalità e la presenza di un corpo luteo all’inizio del protocollo di sincronizzazione. In particolare, i cicli estrali durante l’estate avevano 1,89 (IC 95% = 1,25; 2,96) volte maggiori probabilità di essere seguiti da una fase luteale prolungata rispetto alle inseminazioni effettuate in inverno.
Le vacche che avevano un CL al momento dell’arruolamento nel protocollo di sincronizzazione avevano 1,66 (IC 95% = 1,05; 2,60) volte maggiori probabilità di essere seguite da una fase luteale prolungata rispetto alle vacche che non lo avevano.
Purtroppo il protocollo di sincronizzazione adottato nello studio prevede l’utilizzo di un impianto di progesterone e il trattamento con estradiolo benzoato. In Europa, a differenza del Brasile dove è stata fatta la ricerca, l’estradiolo è vietato, e questo non ci permette di comparare perfettamente i protocolli che noi utilizziamo (Ovsynch®, Double Ovsynch® ecc.) con quello usato nello studio.
Naturalmente siamo appena all’inizio dell’esplorazione di un fenomeno che ancora non riusciamo a categorizzare con precisione. Il primo obiettivo sarà stabilire se la fase luteale prolungata possa essere considerata un fenomeno patologico oppure un nuovo assetto della fisiologia della vacca da latte ad alta produzione.
Il motivo principale di questa preoccupazione risiede nel fatto che la durata del ciclo estrale di 21 giorni è attualmente utilizzata per calcolare i tassi di inseminazione e gravidanza negli allevamenti da latte e per determinare gli indici genetici di fertilità.
L’efficienza del rilevamento dell’estro è spesso valutata utilizzando i tassi di inseminazione basati su un intervallo di 21 giorni o l’intervallo interservizi (intervallo tra due fecondazioni). Tassi di inseminazione scarsi o interservizi lunghi potrebbero indicare una perdita di gravidanza o un rilevamento dell’estro inadeguato, ma potrebbero anche essere dovuti a fasi luteali prolungate.
L’esplorazione di quale sia la proporzione di vacche che non segue questo schema permetterebbe di identificare potenziali bias nella determinazione delle prestazioni riproduttive in un allevamento o anche nel calcolo degli indici genomici di fertilità.
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